Armando Rossi

Un castelritaldese da non dimenticare: Armando Rossi


Armando Rossi nasce a Castel Ritaldi il 15 luglio 1897.

E' il primogenito di sei fratelli (tre maschi:Armando, Adolfo e Adelmo; tre femmine: MariaLuisa,Matilde e Zenaide). Orfano dei genitori a meno di tredici anni, sente nel profondo il grande vuoto della vita. La madre Angela Romoli, muore ad ottobre del 1908, a trentadue anni; il padre Odoardo, calzolaio, lascia i sei orfanelli a febbraio del 1910, all'età di trentatré anni. Il nonno materno Giuseppe Romoli, guardia comunale di Castel Ritaldi, uomo forte e tutto di un pezzo, severo ma dal grande cuore, provvede come meglio può al sostentamento degli sfortunati nipoti, coadiuvato dalla nonna materna Menica, minuta e analfabeta ma saggia e tenace che alleva nella povera casa del figlio cinque dei suoi nipoti. Adelmo, il terzogenito, va a vivere con il nonno Giuseppe. Ma la Provvidenza non tarda ad accorgersi orfanelli. Le tre bambine trovano accoglienza e fortuna presso famiglie di Napoli. Adolfo va a Picciche, accolto da Don Pietro Bolletta che lo tiene con sé fin quando non entra al seminario di Trevi. Non ancora diciottenne è già sul fronte di guerra con i "ragazzi del '99", l'ultimo scaglione chiamato alle armi.

Oltre al maestro Giuseppe Gentili, notevole contributo all'educazione di Armando viene dato dal parroco Don Carlo Archilei, predecessore di Don Giuseppe Fabrizi, il buon parroco al quale Armando deve il suo ingresso nel 1910 al Seminario Vescovile di Spoleto dove rimane quattro anni dedicandosi con profitto allo studio. Molti incoraggiamenti riceve da intenditori che avendolo sentito cantare in Chiesa come solista, lodano tanta emissione e grazia vocali. Notevole il giudizio de "lu cantante" Gian Francesco Angelici Rota, "basso" di fama mondiale e qualche anno dopo sindaco di Castel Ritaldi. Ma la figlia Emilia, assai religiosa, prende molto a cuore il giovane Armando di cui apprezza non solo le doti canore ma più ancora quelle intellettuali, tanto da opporsi decisamente al padre che al giovane seminarista voleva far intraprendere la strada del canto e del teatro. A riguardo, "lu cantante" così si esprime: "Voce argentina, voce vellutata! Mimma (Emilia), questo ragazzo deve studiare!" Ma Armando, lasciato il seminario, segue i consigli della sua benefattrice che lo introduce al Collegio Salesiano di Roma, ritenendo utile iscriverlo alla Sezione artigianale dove viene iniziato al mestiere di tipografo compositore. Però non soddisfatto Armando, nonostante i buoni risultati ottenuti, la "Signorina" lo fa ritornare ai libri presso il Collegio Villa Sora di Frascati dove frequenta la Scuola Normale Pareggiata Tuscolana, retta dai Padri Salesiani. A Settembre dello stesso anno viene richiamato ed arruolato al 3^ Genio telegrafisti di Firenze. A febbraio del 1917 raggiunge la zona di guerra e al termine del conflitto è tra i primi ad entrare a Trento. Ristabilita la pace, ritorna a Castel Ritaldi, ed ottiene quell'anno un incarico alla Scuola elementare di Poreta. L'anno successivo va a dirigere un piccolo Centro educativo a Collestrada di Perugia. All'inizio del 1920 torna a Roma dove si guadagna da vivere come compositore tipografo e come corista al Teatro dell'Opera. Intanto si prepara a partire per la Libia.

A giugno del 1921 sbarca a Bengàsi, capoluogo della Pirenaica, dove inizia la sua missione di pioniere della scuola italiana, come maestro dei bambini indigeni:arabi, berberi, sudanesi ai quali, anche in villaggi sperduti, quasi alle "porte dell'arso Sahàra", fa apprendere la nostra lingua, dedicandosi a quei "monelli" con entusiasmo, paziente affetto e persino coraggio per le incursioni, sia pure sporadiche, dei ribelli beduini.
Affascinato da quel nuovo mondo, preferisce insegnare per 15 anni nella scuola per musulmani, "la scuola più amata e più vera". Scrive in quegli anni "Fanciulli d'oltremare", un insieme di quadretti poetici riguardanti quello straordinario ambiente della vita scolastica.

Classificatosi tra i primi, nel 1936 vince il Concorso Nazionale di Direttore Didattico, unico a superarlo tra i maestri della Libia. Diranno i suoi arabetti con orgoglio ed un pizzico di malizia: "Maestro di arabo fatto direttore, maestri di italiano non fatto!". Abbandona, a malincuore, quella cara vivacissima scolaresca di cui avrà sempre tanta nostalgia.

L'anno scolastico 1936 - '37 è direttore didattico in Italia, a Ficulle, nell'unica scuola disponibile dell'Umbria. Ma l'anno dopo può ritornare in Libia: direttore prima a Derna, poi dal 1938 a Benegàsi, fino a guerra inoltrata. Ad ottobre del 1940 accompagna in aereo la famiglia che va a vivere a Gubbio e nel mese di Novembre rientra in Libia dove resta fino al 30 settembre 1941. Mentre vola da Tripoli verso l'Italia, dal finestrino dell'aereo osserva malinconicamente la costa libica che si allontana e che più non rivedrà. Ma ritorna, dopo venti anni, alla sua terra:il primo anno a Pesaro, e dal 1942 al 1945 a Loano, in provincia di Savona. In questo periodo di guerra, dirige le scuole elementari annesse ai collegi che ospitano i figli dei coloni italiani rimasti in Libia. Nel 1945, felice di stare vicino all'amato Castel Ritaldi, prende servizio presso il Circolo didattico di S. Caterina di Foligno.

Nel 1956 viene nominato Ispettore Scolastico di Perugia dove rimane in carica fino al 1963, l'anno in cui va in pensione. Nel 1957 pubblicava "Yà Sidi", libro di ricordi degli scolari arabi e rivelazione di un mondo dai costumi sconosciuti.

Uomo di scuola stimatissimo: Maestro, Direttore Didattico, Ispettore Scolastico, insignito di medaglia d'oro dal Ministero della Pubblica Istruzione, preferisce essere ricordato come maestro elementare.
Appena lasciato il servizio, avverte nel profondo un grande vuoto, lo stesso che aveva sentito cinquantatrè anni prima quando rimase orfano. Creativo ed instancabile, si accorge presto di vivere male senza la scuola. Impiega il tempo come meglio può. Trasferitosi da Perugia a Foligno, va a giorni alterni in bicicletta a comprare il pane a Castel Ritaldi, perché "il pane del mio paese - dice - è il più buono". La sera scrive"La favola dei grandi", che con immagini vive, poetiche e spiritose ci presenta e ricorda Armando, questo figlio eletto di Castel Ritaldi: così vivace, scanzonato ed ironico ma anche così umano, attento al dovere, equilibrato e saggio. Nel 1970 si trasferisce a Roma nel piccolo appartamento negli anni cinquanta con i denari ricevuti in risarcimento dei danni di guerra subiti a Bengàsi. Attivo come ancora si sente, non vuol restare inoperoso. Ha subito in mente due progetti: andare a Frascati ad insegnare come maestro al Collegio Villa Sora dove ancora ha qualche amico; ed inoltre, prendere la patente guida a Roma perché in Umbria ci ha provato tre volte e tre volte è stato respinto. Male accetta la sconfitta; non si arrende ed infine, purtroppo, ha la meglio. A settantatrè anni ottiene la patente. Già pregusta la gioia di tornare tra i banchi scolastici ad insegnare ai bambini (anche se n on più arabi), quando il destino vuole che il suo progetto non fallisca. Il 19 agosto 1971, tornando in macchina da Castel Ritaldi dove aveva comprato un filone di pane del suo paese, forse distratto, certamente ancora non troppo esperto della guida, finisce in una scarpata, nell'autostrada del sole, poco prima dell'uscita per Roma. L'ultima cosa che vede? E' una collina verde con tanti olivi, come quelli che ora gli fanno da cornice intorno al Cimitero di Castel Ritaldi dove riposa vicino alla moglie e alla figlia primogenita.